Uno sguardo all’Ecofemminismo

Uno sguardo all’ecofemminismo 
 
 
In relazione
dall’Ecofemminismo all’etica dell’ambiente-
di Chiara Certomà
"ciò che sembra mancare in molta letteratura sull’etica ambientale […] è l’aperta ammissione che non possiamo neppure iniziare a parlare delle questioni morali finché non riconosciamo di provare un sentimento di cura per qualcosa"
(M. Kheel) (1)
(…)Attraverso l’analisi di uno scritto di Rosemary Radford Reuther cercherò di illustrare la prospettiva ecofemminista sul problema ecologico.
(…)Mi baserò sull’articolo della Reuther "What is Ecofeminism?" (3) e introdurrò, dove necessario altri brani di ecofemministe ed ecologisti. Comincerò col presentare le basi dell’Ecofemminismo e le sue motivazioni originarie, quindi passerò ad analizzare il rapporto "ispiratore" tra donne e natura e il cruciale momento di passaggio dalla Terra Mater alla Terra Nullius. A questo punto presenterò la visione della Crisi Ecologica contemporanea, le proposte dell’Ecofemmista ad analizzare gli aspetti, a mio giudizio, meno convincenti dell’Ecofemminismo (4). Per concludere dirò di alcune sue feconde innovazioni concettuali. 
UNO SGUARDO ALL’ECOFEMMINISMO
L’Ecofemminismo nasce negli anni ’60 negli Stati Uniti come giustapposizione degli obiettivi di due movimenti: quello di liberazione dell
a donna e quello ecologista. Il suo scopo è quello di proporre una connessione tra l’oppressione delle donne e quella della natura nella società occidentale basata sulla logica del dominio e dello sfruttamento. Secondo la Merchant (5) il modello ecologico e l’etica ad esso associata permettono un’interpretazione critica dell’avvento della scienza moderna che ha trasformato la terra da organismo a meccanismo, identificando donne e natura come forme inferiori di vita rispetto alla cultura, simbolicamente associata all’uomo.
La Reuther spiega la genesi del movimento facendo esplicito appello alla strettissima connessione di quest’ultimo con la Deep Ecology, un movimento ecologista radicale che scandagliando i patterns simbolici, psicologici ed etici della relazione distruttiva uomo-natura, propone un modello di vita basato sull’Etica della Terra.
Contemporaneamente, la Reuther, propone tre definizioni del Femminismo: la prima come movimento per la piena attribuzione dei diritti politici e le possibilità economiche alle donne; la seconda, come movimento di trasformazione del sistema socio-economico patriarcale basato sulla gerarchia; la terza come movimento che combatte le espressioni etiche, simboliche e psicologiche del dominio sulla donna, del monopolio delle risorse e della detenzione del potere da parte dell’uomo.
La dicotomia maschile/femminile ha trovato espressione più o meno esplicita in una molteplicità di metafore in cui al femminile è associato tutto ciò che riguarda la corporeità e la sapienza intuitiva, la cooperazione e la conservazione mentre all’ambito del maschile afferiscono gli opposti: teoricità, razionalità, competizione, dissipazione (6).
Sulla base di questa dicotomia l’Ecofemminismo costruisce i capi d’accusa rivolti alla cultura dominante: l’essere androcentrica, basata cioè su esperienze maschili e su metafore tradizionalmente ad esse associate; l’essere dualista, prevalentemente nella separazione fra esseri detentori di diritti ed esseri privi di diritti; l’essere gerarchica, sia intra che infra specifica; l’essere atomista: non tener conto delle relazioni quanto piuttosto di enti isolati; l’essere astratta, ignorando i bisogni e i sentimenti particolari in favore di un universale decontestualizzato (7).
Dall’inizio degli anni ’80, grazie alle esperienze storico-sociali, l’Ecofemminismo, in connessione con il pensiero femminista, evolve da posizioni fortemente contestatrici a posizioni fortemente propositive. In particolare le grandi crisi ecologiche del nostro tempo (come l’esplosione di Three Miles Island nel ’79 o Chernobyl nel ’86) mobilitano le donne attorno ad alcuni concetti che fanno perno su specificità femminili (elaborate dal pensiero della differenza) e permettono la formulazione di un visione ambientale articolata e autonoma.
DONNE E NATURA
L’excursus storico proposto dalla Reuther prende il via dalla considerazione del ruolo delle donne nelle prime società umane considerando come il loro corpo sia sempre stato associato alla terra in quanto anch’esso "produttore" di vita. Il ruolo femminile restava legato alla nutrizione, alla crescita dei figli e alla coltivazione dell’orto, alla preparazioni di abiti e cibo: mansioni di cura e conservazione, compiti svolti per mantenere le basi materiali della vita e considerati inerenti ad una sfera d’attività inferiori.
Con l’andare del tempo, quando gli uomini iniziarono ad allevare gli animali per ricavarne cibo e coltivare grandi quantità di terreno, con l’emergere della figura del contadino, l’associazione donna/terra assunse un valore ancora più pregnante: l’uomo diventò proprietario della terra e capo-famiglia, "proprietario" della donna.
In tutta la mitologia del Vicino Oriente, è evidente uno slittamento di significato simbolico dalla Natura alla donna, entrambe comprese in una sfera da conquistare e governare: la parola mather (madre) ha la stessa radice etimologica di matter (materia), entrambe "da utilizzare".
La Riforma Calvinista e la Rivoluzione Scientifica, secondo la Reuther, rappresentano il punto di svolta nella concezione occidentale della natura.
Il Calvinismo cancellò il senso della sacralità della natura che aveva dominato in molte visioni medioevali, rappresentandola invece come un’entità che raccoglieva in sé depravazione, malvagità e bruttura. Il mondo fisico era dominio del Demonio e le donne rappresentavano il tramite privilegiato attraverso cui egli si manifestava nella vita quotidiana (non a caso sempre con tratti animaleschi e in boschi o luoghi naturali). Le donne che conoscevano i poteri delle erbe e che quindi intrattenevano uno stretto legame con la natura selvaggia, furono additate come streghe.
La Rivoluzione Scientifica si mosse, all’inizio, in direzione opposta esorcizzando il potere diabolico dal regno naturale per ravvisare in esso i segni dell’ordine divino manifesti nelle leggi di natura.
A partire dal 1700 però le divinità abbandonarono la sfera naturale e le menti di scienziati e filosofi si volsero al "trascendente". Il Cartesianesimo e la fisica Newtoniana la resero materia in movimento in accordo con le leggi matematiche conosciute e conoscibili dagli scienziati (uomini). Senza anima né vita, la natura poteva essere facilmente espropriata dall’uomo per incrementare il proprio benessere e il proprio potere.
L’applicazione della tecnologia alla scienza andò di pari passo con il colonialismo, l’ottimismo delle società occidentali cresceva con la fiducia nei mezzi e nei progressi tecnologici che avrebbero risolto ogni problema materiale.
Un contributo importante su questo argomento viene da Vandana Shiva:
"Tutte le culture sostenibili, nella loro diversità, hanno visto la terra come Terra Mater. Il costrutto patriarcale della passività della terra e la conseguente creazione della categoria coloniale della terra come Terra Nullius ha risposto a due obiettivi: negare l’esistenza e i diritti precedenti degli abitanti originari e negare la capacità rigenerativa e i processi vitali della terra." (8)
L’immagine di una terra come madre che nutre rappresentava un vincolo culturale troppo forte per il suo sfruttamento, una terra vuota, invece, senza persone, di nessuno, ha permesso agli europei di descrivere "le loro invasioni come scoperte, la pirateria e il furto come commercio, lo sterminio e lo schiavismo come missioni di civilizzazione" (9).
La visione meccanicista legittimava (e legittima) la manipolazione della natura: la Rivoluzione Verde degli anni’70 non è stato che un ulteriore fallimentare tentativo di imporre schemi elaborati dall’uomo ai cicli naturali, sostituendo la legge dello scambio di materia ed energia basata sulla fertilità del terreno, flussi lineari generati da input artificiali. Ma fuori dai processi ecologici le tecnologie distruggono le basi della produttività.
LA CRISI ECOLOGICA
La Reuther disegna a questo punto il panorama che si presenta ai suoi occhi: le conquiste mediche e i progressi tecnologici hanno prodotto un incremento della popolazione mondiale superiore a qualsiasi previsione. Contemporaneamente lo squilibrio tra nord e sud del mondo, il divario tra benestanti e indigenti si è fatto sempre più profondo. Per mantenere il monopolio, il sistema dell’affluenza basato sul controllo della terra e della produzione da parte di pochi deve essere militarmente e violentemente difeso dalle rivendicazioni da parte delle masse di lavoratori.
I termini chiave utilizzati dalla Reuther in tale analisi degli squilibri ecologici e sociali sono comuni a molta letteratura ecologista dagli anni ’70 in poi. Paradigmatico a tal proposito è Il cerchio da chiudere di Barry Commoner del 1972 (10), testo sacro dell’ecologia politica. Commoner sostiene che la natura funziona per cicli chiusi: ogni nutriente che si trova in una catena trofica è stato prodotto e verrà consumato all’interno della stessa e verrà rimesso in circolo tramite la decomposizione degli organismi che se ne sono nutriti.
L’attività industriale e agro-industriale umana ha creato una frattura nel ciclo: alcuni prodotti non possono essere reintegrati perché, essendo stati sintetizzati artificialmente, non esistono batteri in grado di decomporli. Alcuni processi naturali sono stati accelerati e altri rallentati o eliminati tramite materie chimiche estranee al processo stesso, creando un’anomalia fra le parti del sistema: ipertrofia di una delle componenti del sistema e atrofia di altre.
La rottura dei cicli è determinata dai rapporti squilibrati tra popolazione, risorse e ambiente:
I= P x A x T
cioè l’intensità degli effetti negativi sull’ambiente (I) è proporzionale al numero d’individui (P), alla quantità di merci e servizi annui per persona (A, "affluenza" appunto) e al fattore tecnologico (T), la quantità di inquinamento per unità di merci o servizi prodotti e consumati. Per risolvere la situazione si può, sostiene Commoner, intervenire su ciascuno dei tre fattori e meglio su tutti e tre: ridurre la popolazione, diminuire l’affluenza pro capite nei paesi ricchi, introdurre tecnologie alternative che sfruttino come materie prime prodotti presenti in natura.
A differenza della Reuther però e di molti altri teorici del tempo (ad esempio Ehrlich con La bomba P. (11)), Commoner non ritiene l’aumento della popolazione unico responsabile della crisi ecologica: la Zero Population Growth, ottenuta tramite sterilizzazione e aborto e avversata sia dai cattolici che dalla sinistra, non è sufficiente se non affiancata da innovazioni tecnologiche e culturali (in particolare lo sviluppo di energie alternative e di modelli di vita ecocompatibili).
PROPOSTE RISOLUTIVE ?
Le proposte della Reuther per l’elaborazione di un’etica ecofemminista sono volte a porre le basi di una cultura ecosostenibile e presentano insieme aspetti che, in seguito, definirò come "poco convincenti" e aspetti invece molto fecondi.
La Reuther sostiene innanzi tutto la necessità di superare i dualismi insiti nella nostra cultura, primo tra tutti quello tra natura e trascendenza dal momento che l’uomo non è che uno degli ultimi esseri apparsi sulla terra e la natura non ha bisogno di lui, mentre è vero il contrario. In questo senso, la Reuther, definisce l’uomo come "parassita della catena alimentare" che consuma sempre di più restituendo sempre meno al sistema naturale che lo supporta.
E’ necessario da parte dell’uomo riconoscere la sua stretta dipendenza dalla matrice vitale e integrare i suoi sistemi di produzione all’interno di questa stessa. Questo processo può avere inizio solo rivalorizzando la relazione tra la mente umana e la natura, integrando l’intelligenza dell’uomo con quella della terra. Mente e coscienza non sono prodotti scaturiti da qualche universo trascendentale ma costituiscono il luogo in cui la natura stessa diventa cosciente. Questo movimento, sempre a giudizio della Reuther, dovrebbe permetterci di rispolverare il concetto di "Dio" non più come coscienza maschile alienata, al di fuori e al di sopra della natura, ma come risorsa vitale immanente che sostiene l’intera comunità planetaria, fonte da cui scaturiscono piante e animali.
Nel modello etico proposto, le relazioni di mutua interdipendenza dovranno sostituire ogni gerarchia di dominio e quindi eliminare alla radice ogni forma di razzismo, sessismo, classismo e antropocentrismo. Risulterebbe finalmente evidente che, in un senso molto reale, la cosiddetta "sfera superiore", quella dei detentori di potere di qualsiasi genere, è attualmente la più dipendente dalla sfera "inferiore" ed è quindi il termine più bisognoso della relazione.
Ciò che potrebbe costituire la "salvezza" è il riconoscimento della finitezza degli organismi umani e della necessità di sentirsi (e agire come) parte di un ciclo basando il proprio comportamento su valori quali l’amore, la giustizia e la cura della terra, valori proclamati dalla religione "patriarcale" ma contraddetti dalle relazioni simboliche e sociali del modello "patriarcale".
PERPLESSITÀ
L’ecofemminismo trae spunto, come ho già sottolineato, da una corrente ideologica molto forte soprattutto negli Stati Uniti: la Deep Ecology.
La stessa Reuther ne presenta i principi cardine.
I deep ecologist ritengono che la vita, umana e non umana, abbia un valore intrinseco accresciuto dalla ricchezza e dalla diversità. Gli uomini non hanno diritto di intaccare questo valore se non per soddisfare i propri bisogni e attualmente la loro ingerenza nella natura è eccessiva. La riduzione della popolazione umana sarebbe compatibile con l’incremento della cultura della sostenibilità che prevede la valorizzazione della vita e delle possibilità da essa offerte piuttosto che la tensione ad uno standard elevato. Inoltre chi sottoscrive tali affermazioni non può che adoperarsi per indirizzare in tal senso lo sviluppo sociale e culturale da sostituire alla nostra cultura squilibrata.
Il punto critico, mi sembra, che ostacola l’elaborazione di un’etica ambientale largamente condivisibile sta nell’insistenza sul valore intrinseco della vita per giustificare la necessità di preservare la natura. E’ una visione che oltrepassa l’etica per porre in discussione la visione stessa del mondo e proporre un "riorentamento metafisico-ontologico" in cui uomo e natura siano uniti da una sorta di egualitarismo biosferico (12). Tale posizione, grazie anche alla retorica mistico-spirituale dei deep ecologist sembra affidarsi più ad una forma di "fede" che ad un argomentazione morale (13). Dietro una simile visione sta, a giudizio di Singer, una sorta di olismo, per cui gli interessi di una specie o di un ecosistema dovrebbero essere presi in considerazione insieme a quelli individuali. Il problema è che non basta sostenere che alberi ed ecosistemi possono avere degli interessi: occorre specificare se ed in che senso questi interessi sono moralmente rilevanti (14).
L’Ecofemminismo, almeno in alcune autrici, assorbe dalla Deep Ecology proprio il senso di comunione con la terra e la componente mistico-retorica. La Reuther ad esempio fa riferimento alla necessità di sostituire il dio della tradizione occidentale con una sorta di dea-Madre e la sua proposta per la "salvezza" è descritta come un’epifania di un mondo armonico in cui uomo e natura convivano pacificamente. "La spiritualità femminista si fonda sulla consapevolezza dell’unità di tutte le forme viventi e l’immagine di una divinità femminile sembra incarnare tale concezione meglio di un dio maschile…"(15): una sorta di mistica della femminilità che lungi dall’assumere un valore liberante tende a trasformarsi in una trappola ideologica: donna/natura/madre. Il tentativo della "salvezza" altro non è che un tentativo di "ri-incantare" il mondo: risanare Madre Terra opponendosi al processo di disincanto messo in atto dal processo di razionalizzazione occidentale (16).
Ritengo questo aspetto dell’ecofemminismo molto poco convincente in termini morali perché non fornisce una base etica soddisfacente per argomentare, di fronte ai "non credenti", la necessità di tutelare la natura e l’ambiente. Inoltre i progetti di radicale revisione sociale e culturale (tipici di movimenti a sfondo "mistico"), se non dettati da situazioni contingenti, da un sentire diffuso e bisogni avvertiti collettivamente, difficilmente raggiungono i risultati sperati.
Nonostante ciò, alcune idee della teoria ecofemminista, credo, possono essere particolarmente interessanti per qualsiasi etica ambientale futura.
SUGGERIMENTI
La Reuther evidenzia la necessità di un cultura che produca un "pianeta sostenibile", riconosce la dipendenza reciproca degli esseri viventi dal loro ambiente e l’imprescindibile fisicità umana, condanna l’uso della violenza e propone come base dell’etica la cura della terra: concetti che sembrano particolarmente fecondi e si ritrovano in diversi scritti ecofemministi.
Val Plumwood, in un articolo del ’89 (17), sostiene che l’ecofemminismo si oppone alla fondamentale tendenza alla creazione di polarizzazioni antagoniste propria del pensiero occidentale. La dicotomia uomo-natura, costruita dalla tradizione razionalista, è mantenuta attraverso la negazione dell’esistenza di un legame tra uomo e animali: ciò che definisce l’umano non è ricercato in ciò che è condiviso con il naturale e l’animale (il corpo, l’emotività, i sensi…) ma attraverso ciò che ne sottolinea la distanza (la ragione). Nel ’93, in un altro articolo (18), caratterizza l’uomo in termini di continuità con il mondo naturale e presenta la sua teoria del sé ecologico. Una visione del sé che sia sé-in-relazione permette di evitare lo strumentalismo nei confronti dell’ambiente circostante (sia esso umano o naturale) ed elaborare un sé ecologico che include tra i suoi fini quelli della prosperità degli altri e della terra e ne ha cura. Per riconoscere appieno la partecipazione e la continuità con l’ambiente sono necessari due momenti: quello del riconoscimento dell’affinità e quello del riconoscimento della differenza. Solo in quanto differenti/interrelati è possibile cogliere gli aspetti di reciprocità del sociale e del naturale.
La reciprocità e la mutualità esigono l’esistenza di "altri" non omologati: altri che possano essere riconosciuti come tali. L’importanza della diversità nei sistemi ecologici e sociali è sostenuta da Shiva nel suo Biopirateria (19) : "le radici della guerra e della violenza stanno nel trattare la diversità come una minaccia, una fonte di perturbazione e di disordine". Shiva si oppone all’omologazione culturale imposta e la cancellazione dei saperi agricoli tradizionali in cui il ruolo delle donne è centrale nella conservazione e valorizzazione della biodiversità e nel rifiuto di ogni forma di violenza (20).
In The Power and the Promise of Ecological Feminism la Warren (21) offre una sintesi delle caratteristiche comuni alle diverse forme di ecofemminismo.
L’ecofemminismo costituisce un’etica contestuale: "implica il mutamento da una concezione dell’etica come questione di diritti, regole, principi determinati e applicati in casi specifici a entità intese come in competizione nel contesto della morale ad una concezione dell’etica derivante da […] "rapporti definienti", cioè rapporti intesi come in qualche modo determinanti l’identità personale" (22). L’importanza di diritti, regole e principi è data dal fatto che coloro ai quali si applicano sono in rapporto con altre entità. La considerazione etica non è più attribuita agli esseri non-umani in considerazione di una qualche somiglianza che essi condividono con gli umani (razionalità, interessi, possibilità di sentire…) ma in base ad una prospettiva contestuale in cui assume importanza come un agente morale si comporta in relazione a l’"altro" e non che esso sia un agente morale o dall’essere costretto ad agire da diritti, doveri, virtù o utilità.
La teoria è teoria in divenire, centrata sull’uso della narrazione come possibilità di modifica costante dell’etica durante il processo storico (riferimento obbligato è la centralità del tempo e del mutamento negli ecosistemi, l’importanza della plasticità e dell’adattamento in natura). Contemporaneamente, la narrazione è basata sull’analisi di storie in prima persona e nasce, per lo più, in maniera inclusiva: giustappone i racconti di donne e uomini che hanno esperito sulla propria pelle lo sradicamento dei valori connessi alla terra.
L’ecofemminismo assegna un posto privilegiato a valori quali la sollecitudine, la fiducia, la reciprocità, l’amore. Ogni ente ed ogni evento è collocato in un contesto di relazioni, quelle stesse che, danno forma a ciò che significa essere umani, avere un corpo ed essere spazialmente e temporalmente situati, rifiutare l’individualismo astratto in favore della fisicità e materialità della propria esperienza corporea.
Elena Gagliasso (23) in un contributo relativo allo sviluppo della coscienza del limite (la riflessione, successiva agli eventi di Chernobyl, su quanto avanti l’Uomo possa nei confronti della Natura) sottolinea inoltre la stretta dipendenza tra le limitazioni biologiche e la nuova considerazione del "limite" che il pensiero delle donne propone: limitazioni reciproche dei sistemi viventi e senso di responsabilità. Il limite è sì un vincolo ma definisce contemporaneamente lo spazio della possibile definizione di sé, il senso di responsabilità che implica la cura e l’attenzione per le conseguenze di ogni singola azione. La proposta di Shiva e Mies (24) è quella di rigettare l’idea che la libertà e la felicità dell’Uomo derivino da un continuo processo d’emancipazione dalla natura e dominio su di essa e ammettere che necessario invece imparare a "vivere bene" all’interno dei limiti della necessità che essa impone. L’influenza di questi concetti nel pensiero ecologista internazionale è evidente, ad esempio, nell’elaborazione del principio di precauzione e di ecosostenibilità nella Conferenza di Rio (25).
In conclusione, dunque, il punto di partenza per l’elaborazione di un’etica ambientale laica e occidentale sembra essere lo slittamento del fuoco problematico : dal valore in sé al valore della relazione.
Un’etica basata sulla considerazione di soggetti disincarnati e decontestualizzati tende a individuare entità moralmente significanti piuttosto che vincoli moralmente significanti, tende a considerare l’ambiente (sia esso costituito da elementi naturali, creazioni umane o Uomini stessi) come "rumore di sottofondo". Costruire un’etica ambientale su tali presupposti sarebbe (ed è) un’impresa ardua.
Concentrandosi piuttosto sulle relazioni diventa immediatamente evidente che il problema non è nel valore in sé dell’oggetto considerato ma nel valore che esseri in grado di farlo gli attribuiscono.
La considerazione fondamentale, allora, sta nella quantità e qualità dei vincoli presenti negli ecosistemi naturali e artificiali, nelle relazioni strettissime e delicatissime cui finora è stata data scarsa importanza e che sembrano invece costituire il quid di una difendibile etica ambientale.
Bibliografia e note
(1) M. Kheel, The liberation of Nature, Environmental Ethics, n° 7, 1985, pp. 143-4 (cit. in L. Battaglia, cfr. nota 4)
(2) P. Singer, La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore, Milano 2001
(3) Tutti i riferimenti presenti a R.R. Reuther sono basati su What is Ecofeminism?, Openeye Magazine 2, Spunk Press Archive, Spunk Library, http://www.spunk.org/library/pubs/openeye/sp000943.txt
(4) In realtà sarebbe più corretto parlare di ecofemminismi. Come fa notare V. Plumwood in Ecofeminism:an Overview of Position and Arguments (Australasian Journal of Philosophy, suppl. al vol. 64, giugno 1886) si può parlare di almeno tre tipi di Ecofemminismo: uno che spiega la connessione donna/natura con i dualismi della filosofia classica; uno che la spiega con il passaggio dal mondo moderno a quello premodeno e uno basto sul pensiero della differenza. (cit. in L. Battaglia, Dimensioni della Bioetica, cap. VI Ecologia ed etica della cura, Name, Genova, 1999).
(5) C. Merchant, La morte della natura, Garzanti, Milano 1988, pp. 31-3, in: Schroeder-Benzo, Pensare ambientalista, Paravia 2000
(6) F. Capra, Il punto di svolta, Feltrinelli, prima edizione, Milano 1984
(7) L. Battaglia, cfr. nota 4
(8) V. Shiva, Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, p. 64
(9) V. Shiva cfr. nota 7, p.65
(10) B. Commoner, Il cerchio da chiudere, Garzanti, 1972
(11) P. Erlich, The population bomb, Ballantine, New York 1966
(12) S. Bartolommei, Etica e natura, Laterza, 1995
(13) Cfr. B. Devall e G. Session, Ecologia Profonda, Gruppo Abele, Torino 1989
(14) P. Singer, cfr. nota 2
(15) L. Battaglia, cfr. nota 4
(16) M. Mies e V. Shiva, Ecofeminism, Zed Books, Londra 1993, in: Schroeder-Benzo, Pensare ambientalista, Paravia 2000
(17) V. Plumwood, Nature, Self and Gender: Feminism, Environmental Philosophy and the Critique of Rationalism, Hypathia n°6, 1991,pp. 3-27, in: Schroeder-Benzo, Pensare ambientalista, Paravia 2000
(18) V. Plumwood, Feminism and the Mastery of Nature, Routledge, New York 1993, pp. 36-7 e 154-60, in: Schroeder-Benzo, Pensare ambientalista, Paravia 2000)
(19) V. Shiva, cfr. nota 7, p. 127
(20) V. Shiva , fisica e filosofa indiana, è direttrice della Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource di Dehra Dun e della prima banca di semi di specie non geneticamente modificate e ormai in via d’estinzione.
(21) K. Warren, The power and the promise of Ecological Feminism, Environmetal Ethics n°12, 1990, pp. 125-46, in: Schroeder-Benzo, Pensare ambientalista, Paravia 2000
(22) K. Warren, cfr.nota 20, p. 227
(23) E. Gagliasso, Provocare l’autocoscienza della scienza, in: Scienza e potere, Coscienza del limite, Quaderni di donne e politica, 1986
(24) Mies e Shiva, cfr. nota 15
(25) Il principio di precauzione afferma la necessità di non intervenire sulla natura se permangono dubbi, anche minimi, sulla non nocività di tale azione, non solo nei confronti dell’uomo; l’ecosostenibilità e lo sviluppo sostenibile (concetto già introdotto dal Rapporto Bruntland nel 1987) si basa sulle valutazioni di caring capacity del pianeta e consiste nel non superare tali limiti.
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