I Movimenti per la vita hanno organizzato un convegno sulla Legge 194 a Bologna.
Ma non avete di meglio da fare???
L’aborto terapeutico regolato dalla legge 194 prevede la possibilità di
un’interruzione di gravidanza successiva ai tre mesi, in caso di grave
rischio per la salute della madre. L’intervento è praticabile entro la
23esima settimana di gestazione.
Questa scelta già difficile e dolorosa per una donna che intende portare a
termine la gravidanza, viene ulteriormente stigmatizzata dal protocollo dei
ginecologi cattolici romani e dalle posizioni della Chiesa cattolica.
Il protocollo impone la rianimazione del feto indipendentemente dalla
volontà della madre, obbligando alla "vita", nel migliore dei casi,
persone con gravi disfunzioni fisiche e cerebrali.
In Italia qualunque trattamento medico infermieristico necessita del
preventivo consenso del paziente e quindi il suo CONSENSO INFORMATO, che
costituisce il fondamento della liceità dell’attività sanitaria, in
assenza del quale l’attività stessa costituisce REATO (vedi art.32 della
Costituzione). SE LA PERSONA È MINORENNE IL CONSENSO È AUTOMATICAMENTE
DELEGATO AI GENITORI.
Questi fondamentalisti cattolici ancora una volta negano il diritto delle
donne di scegliere del proprio corpo, della propria vita e del proprio
futuro.
Paradossalmente i movimenti per la vita difendono una "vita" prodotta
da vere e proprie sperimentazioni eugenetiche, una (non) vita che graverà
soprattutto sulla donna che si farà carico di una scelta non sua.
La legge 194, sulla quale verte il convegno di domenica 10 febbraio,
sancisce anche la necessità della "prevenzione" all’aborto. I
movimenti per la vita interpretano la prevenzione come pratica di
dissuasione sulle donne perpetrata in maniera maniacale (ad esempio il
tampinamento delle donne che hanno scelto di abortire fin sulla soglia
delle sale operatorie) e come silenzio su tutti gli aspetti della
prevenzione alla gravidanza non voluta, chiedendo tra l’altro ai
farmacisti di obiettare alla vendita di anticoncezionali, prospettando il
reato di interruzione di servizio pubblico.
La sessualità resta così un tabù, ma la volontà di potenza patriarcale
sul corpo delle donne si reitera in forme:
• sempre più simili allo stalking (il reato di persecuzione mai
approvato in Italia)
• di occupazione vera e propria dei luoghi delle donne quali sono i
consultori laici
• di invasione degli ospedali pubblici dove andrebbe garantita la
possibilità di scelta laica e consapevole delle persone sui propri corpi
• di imposizione di un pensiero e di un’etica unica alle singole e ai
singoli
• di ingerenza sullo spazio pubblico e plurale attraverso l’esercizio
di un potere temporale e assolutista sulla società e sulle scelte
politiche.
L’aborto terapeutico regolato dalla legge 194 prevede la possibilità di
un’interruzione di gravidanza successiva ai tre mesi, in caso di grave
rischio per la salute della madre. L’intervento è praticabile entro la
23esima settimana di gestazione.
Questa scelta già difficile e dolorosa per una donna che intende portare a
termine la gravidanza, viene ulteriormente stigmatizzata dal protocollo dei
ginecologi cattolici romani e dalle posizioni della Chiesa cattolica.
Il protocollo impone la rianimazione del feto indipendentemente dalla
volontà della madre, obbligando alla "vita", nel migliore dei casi,
persone con gravi disfunzioni fisiche e cerebrali.
In Italia qualunque trattamento medico infermieristico necessita del
preventivo consenso del paziente e quindi il suo CONSENSO INFORMATO, che
costituisce il fondamento della liceità dell’attività sanitaria, in
assenza del quale l’attività stessa costituisce REATO (vedi art.32 della
Costituzione). SE LA PERSONA È MINORENNE IL CONSENSO È AUTOMATICAMENTE
DELEGATO AI GENITORI.
Questi fondamentalisti cattolici ancora una volta negano il diritto delle
donne di scegliere del proprio corpo, della propria vita e del proprio
futuro.
Paradossalmente i movimenti per la vita difendono una "vita" prodotta
da vere e proprie sperimentazioni eugenetiche, una (non) vita che graverà
soprattutto sulla donna che si farà carico di una scelta non sua.
La legge 194, sulla quale verte il convegno di domenica 10 febbraio,
sancisce anche la necessità della "prevenzione" all’aborto. I
movimenti per la vita interpretano la prevenzione come pratica di
dissuasione sulle donne perpetrata in maniera maniacale (ad esempio il
tampinamento delle donne che hanno scelto di abortire fin sulla soglia
delle sale operatorie) e come silenzio su tutti gli aspetti della
prevenzione alla gravidanza non voluta, chiedendo tra l’altro ai
farmacisti di obiettare alla vendita di anticoncezionali, prospettando il
reato di interruzione di servizio pubblico.
La sessualità resta così un tabù, ma la volontà di potenza patriarcale
sul corpo delle donne si reitera in forme:
• sempre più simili allo stalking (il reato di persecuzione mai
approvato in Italia)
• di occupazione vera e propria dei luoghi delle donne quali sono i
consultori laici
• di invasione degli ospedali pubblici dove andrebbe garantita la
possibilità di scelta laica e consapevole delle persone sui propri corpi
• di imposizione di un pensiero e di un’etica unica alle singole e ai
singoli
• di ingerenza sullo spazio pubblico e plurale attraverso l’esercizio
di un potere temporale e assolutista sulla società e sulle scelte
politiche.
Come donne rivendichiamo il diritto di decidere sui di noi e sui nostri
corpi e contestiamo la presa di parola sul tema dell’aborto da parte dei
maschi e di chi ha un preciso interesse di potere sulla sessualità.
PRESIDIO domenica 10 febbraio
ore 9,30 via Guinizzelli, 3
presso il teatro Antoniano
FIGLIE FEMMINE,
collettivo femminista universitario