RISCHIO DI SGOMBERO PER L’AMBULATORIO MEDICO POPOLARE DI MILANO

Il collettivo mai stat@ zitt@ ci ha inviato una mail con il comunicato dell’Ambulatorio Medico Popolare di Milano che rischia di essere sgomberato, con richiesta di risarcimento danni. Come ci dicono le mai stat@ zitt@ dal 1995 al 2000 l’AMP aveva ospitato un consultorio autogestito, che ora il collettivo mai stat@ zitt@ aveva in progetto di riaprire e in cui aveva intenzione di mettere la sede del comitato per la campagna "obiettiamo gli obiettori".

Di seguito pubblichiamo il comunicato dell’AMP :

Qualcuno crede che siamo alla fine di un percorso partito tredici anni fa,
una follia in un mondo dove tutto si misura col denaro: un ambulatorio
gratuito per il diritto alla salute.
Si trova nei locali, per quasi due decenni lasciati in totale abbandono, al
piano terra della storica casa occupata in via dei Transiti 28, Milano.
3600 persone visitate, 30 visite gratuite ogni settimana, migliaia di ore
spese da decine di volontari e volontarie. Il tutto con la spesa di poche
centinaia di euro l’anno, auto-finanziate e in totale indipendenza da
partiti ed istituzioni.
Questo e’ l’Ambulatorio Medico Popolare . Questo è quanto non capirà mai il
sig. Ciro Bigoni che ha comprato i locali per poche lire nel 2003, solo per
fare un buon affare a scapito di una battaglia che rivendica un diritto
fondamentale, il diritto alla salute.
Aveva già provato a farci causa con l’assurda accusa di esercizio abusivo
della professione medica che ha ovviamente perso. Ora però chiede lo sfratto
ed i danni, ed il tribunale gli da’ ragione: deve poterci mettere il suo
negozietto, dovremmo andare via entro il 15 luglio 2008 pagandogli oltre
13.000 euro di danni.
Quasi 1000 euro per ogni anno passato a togliere le castagne dal fuoco ad
uno stato imbelle ed ipocrita, in una regione dove non sono garantiti
neppure i diritti sanitari essenziali sanciti dalla legislazione nazionale.
Perche’ mai l’unica legge che debba prevalere sia quella del profitto non lo
capiremo e non lo accetteremo mai.

Facciamo appello a chi voglia sostenere questa battaglia a mettersi in
contatto con noi.

per contatti ed adesioni _ambulatorio.popolare@inventati.org <mailto:
ambulatorio.popolare@inventati.org>_

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ALCUNE RIFLESSIONI SUGLI ULTIMI AVVENIMENTI : PERCHE’ IL 2 NON ERAVAMO IN PIAZZA

Abbiamo risposto a tutte le chiamate del Tpo
perché come collettivo universitario e femminista siamo aperte al confronto con
le realtà attente ai temi dell’autodeterminazione delle soggettività. Abbiamo
partecipato alle assemblee convocate dal Tpo ("Né norme né marie" 4
marzo, assemblea pubblica "Fuori i nostri corpi dal vostro
controllo!" del 18 marzo successiva all’azione alla farmacia in via
Massarenti del 7 marzo, e assemblea di sabato 29 marzo sul comizio elettorale
di Ferrara a Bologna). Infatti riteniamo che sia importante che negli spazi
sociali si discuta del tema del controllo sui corpi. Queste assemblee le
abbiamo vissute inizialmente come momenti di confronto su questi temi appunto.

Durante l’assemblea sull’azione alla farmacia c’è
stato un confronto sulle pratiche da mettere in campo per contrastare gli
ultimi attacchi alla legge 194 e l’obiezione di coscienza attuata dai
farmacisti che si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo. Questo
confronto ha fatto emergere la volontà di potenziare la comunicazione su questi
temi da parte di alcune femministe della rete delle donne. D’altra parte
soggettività più vicine a pratiche "miste", che partecipavano al
confronto, hanno espresso l’intenzione di proseguire il dialogo iniziato per
creare una rete a progetto per realizzare un agire politico comune.

Alla diffusione della notizia del comizio di
Ferrara in Piazza Maggiore il Tpo ha inviato il comunicato "Ferrara non ci
passi"( http://www.globalproject.info/art-15515.html) per invitare
a un presidio di protesta in Piazza il 2 aprile. Nello stesso comunicato si
invitava a un’assemblea sabato 29 marzo per discutere e organizzarsi sulle
pratiche da portare il 2 in
piazza, dando per scontato tale modalità di protesta. All’assemblea hanno
partecipato varie realtà: centri sociali, collettivi, singol* e alcune donne
della rete femminile femminista e lesbica attiva in città che si sono astenute
dal prendere decisioni, rimandando al lunedì successivo (31 marzo) quando si
sarebbe tenuta l’assemblea della rete delle donne di Bologna.                                                                

Dirimente,
per le donne appartenenti a gruppi femminili e femministi, s’è dimostrata la
questione delle pratiche da mettere in campo, dato che la discussione sulla
presenza o meno in piazza non sembrava in quel luogo messa in discussione. I
nostri dubbi, condivisi con altre, riguardavano le modalità della protesta,
così importante per la comunicabilità delle nostre posizioni sulla libertà di aborto,
sulla presa di parola delle donne su di un tema che ormai sembra esserci stato
strappato via da una miriade di uomini, cattolici e non, che pensano di avere
il diritto di parola sui nostri corpi. Abbiamo così avanzato qualche proposta
che ci permettesse di stare in quel luogo così simbolico, come il "cordone
sanitario" in camice bianco. Insomma quel che ci premeva era ed è
l’autoprotagonismo delle donne perché la guerra si combatte su di noi, sulle
nostre vite e sui nostri corpi, sul nostro ruolo privato e pubblico in una
società e una politica istituzionale che difendono "valori" del tutto
astratti e obsoleti.

All’assemblea al Tpo di quel sabato era stato
deciso di produrre un comunicato stampa comune inerente alle decisioni prese
nella sede del Tpo. Abbiamo socializzato qualche parola d’ordine e discusso in
mailing list lo scritto. Domenica è stato diffuso il comunicato firmato rete
per l’autodeterminazione, di fatto un coordinamento politico che lega varie
realtà miste sul tema del controllo della sessualità e dei corpi di tutt*.

La rete delle donne il lunedì sceglie di
rispondere all’invito che Salizzoni (candidato per Ferrara) aveva inviato direttamente
alle femministe della città attraverso la mailing list
"retedelledonnedibologna" (sottoforma di newsletter del movimento
pro-life) disertando l’appuntamento del 2 aprile per non dare visibilità
mediatica a chi già ne ha troppa. Il
collettivo Figlie Femmine ha partecipato all’assemblea di lunedì della rete
delle donne ed ha condiviso la decisione finale e la lettera che ne è seguita sull’autodeterminazione
dell’agenda politica delle donne.

In continuità con il 24 novembre 2007, la manifestazione
contro la violenza maschile sulle donne, ma soprattutto con il percorso che
l’ha preceduta e seguita fino al FLAT,  e con il 14 febbraio 2008 quando
come donne, seguite da molti uomini, abbiamo presidiato l’Ospedale Sant’Orsola
e manifestato non autorizzate fino a Piazza
Maggiore, rivendichiamo l’autoprotagonismo e l’autonomia nel definire le nostre
lotte.                                                                                        

Pur ritenendo che sul corpo delle donne
decidono le donne non riteniamo di dover fare lotte ed azioni solo
separatiste, crediamo  sia importante che le donne autodeterminino se
stesse e le loro lotte a partire dal proprio vissuto, dalla propria vitalità e dal
proprio desiderio. La nostra scelta è una scelta consapevole e ci auguriamo che
nessuna realtà la interpreti come conseguente alle decisioni prese il 29 marzo all’assemblea del Tpo. Auspichiamo infatti che
continuino e, soprattutto, migliorino la comunicazione e il confronto tra
soggettività diverse che lottano a Bologna.

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LE DONNE NON SI LASCIANO INTIMIDIRE : CONTINUIAMO A LOTTARE !

Nelle ultime settimane si sono verificati due attacchi
all’autodeterminazione delle donne. Il primo in zona universitaria due
settimane fa quando sono stati necessari ben quindici sbirri per  cercare di intimidire 3 compagne del
coordinamento “Quelle che non ci stanno”, portate fino in questura per un
riconoscimento con dinamiche chiaramente machiste di retaggio fascista. Il
secondo pochi giorni fa contro le attiviste del Tpo cui sono arrivate ben 17
denunce in seguito ad un’azione finalizzata allo svelamento dell’abuso del
diritto di obiezione di coscienza che viene fatto da alcuni farmacisti
bolognesi di fronte alla  richiesta della
“pillola del giorno dopo”. Ricordiamo che la pillola in questione non è un farmaco
abortivo, in quanto agisce come inibitore dell’impianto dell’ovulo, bloccandone
l’ovulazione e non intaccando in alcun modo eventuali ovuli fecondati, fa
quindi parte dei contraccettivi
d’emergenza, e deve essere facilmente accessibile a qualsiasi donna.

Il paradosso è che il reato di interruzione di pubblico servizio,
contestato alle attiviste, è in realtà un reato commesso dagli stessi
farmacisti-obiettori nel momento in cui si rifiutano di consegnare suddetto  farmaco.

Solidarietà a tutte le compagne e
a tutte le donne cui è stata ostacolata la possibilità di accedere agli
anticoncezionali o all’interruzione di gravidanza.

Stupite dall’infondatezza dei
reati contestati dietro i quali vediamo una volontà intimidatoria decidiamo di
non fermarci e ribadiamo la nostra lotta per l’autodeterminazione senza
rinunciare alle pratiche che ci caratterizzano.

 Figlie Femmine

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Bologna – Denunciate le attiviste dopo l’azione alla Farmacia S. Antonio

Diciasette persone sono state denunciate per interruzione di pubblico servizio, danneggiamento e imbrattamento dopo l’iniziativa di denuncia pubblica di venerdì 7 marzo alla Farmacia San Antonio di via Massarenti a Bologna che non vende la pillola del giorno dopo.

Un cinquantina di attiviste/i avevano lanciato una campagna di boicottaggio alle farmacie che non vendono il contraccettivo di emergenza con un’azione simbolica: lanciando polistirolo a forma di pillola, esponendo uno striscione, volantinando e attaccando adesivi sulla vetrata della farmacia. Il responsabile della farmacia aveva reagito in modo molto violento, insultando, aggredendo una delle militanti e cercando di stapparle il megafono, salvo poi denunciare i manifestanti stessi.

Il fatto in questi giorni sta scatenando un clima di tensione a cui ha contribuito il tono di condanna usato dalla Curia Bolognese, che domenica dalle pagine di Bologna Sette, settimanale diocesano supplemento del quotidiano Avvenire, ha accusato le manifestanti di essere delle violente e di voler fare “Strategia del terrore”. “Se gli occupanti vogliono fare del loro corpo quello che più gli piace facciano pure – scrive l’organo della Diocesi di Bologna – ma non pretendano di ottenere con la violenza e simili manifestazioni la cooperazione di chi sulla base di dati medico-scientifici e professionali è profondamente contrario: se così fosse violenterebbero la libertà personale e professionale di coloro che esercitano un servizio sanitario”.

Sui fatti è intervenuto anche il presidente dell’ordine dei farmacisti Franco Cantagalli che ha ribadito: niente obiezione sulla “pillola del giorno dopo” e si è richiamato a una circolare emessa a novembre che avvisava i farmacisti di poter incorrere in “omissione o rifiuto di atti d’ufficio” nel caso non vendessero il contraccettivo d’emergenza.

Guarda il contributo video dell’iniziativa

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Via Crucix – Il gioco dell’Oca della Via Crucis

Muori anche tu

e assolvi i peccati del mondo!

 

 

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