Campagna Relish – Manifesto per il diritto alla critica di genere

Analisi del Comunicato Stampa Relish del 28/01/2009

LA CAMPAGNA RELISH: GIOCO E MALIZIA FRAINTESI

 

>>“Nello sviluppo della campagna pubblicitaria, ci siamo ispirati al famoso film Thelma & Louise”
dichiara Alessandro Esposito Amministratore Delegato di Relish. “Il nostro tentativo era
esattamente quello di sdrammatizzare le situazioni critiche rappresentate nel film e guardarle da
un punto di vista ironico.”

In Thelma e Louise un tema è centrale, la narrazione non è poi così difficile da comprendere, un percorso di autodeterminazione femminile. Il tema della violenza maschile non è assente, e compare così come spesso compare nelle nostre singole vite. Come il dazio dell’espressione di una libera vita sessuale, della rivendicazione di autonomia. E’ un giogo antico e che noi lottiamo nella nostra quotidianità, nel nostro pensiero e politica. "Sdrammatizzare le situazioni critiche rappresentate nel film e guardarle da un punto di vista ironico". Rincresce, ma nemmeno stupisce, sapere che il mercato senta l’urgenza di sdrammatizzare il comportamento machista e violento del corpo poliziesco. Oppure è questa l’urgenza vera: farci pensare che si possa sorridere e ammiccare all’abuso d’ufficio? Oppure il mercato pretende di fare ironia sulle scene critiche, violente, per farci sorridere mentre ci prendono a calci?

>>Forte visibilità, immediata memorabilità del marchio, voglia di differenziarsi.

In effetti la visibilità, purtroppo, c’è. La voglia di differenziarsi no. Quale sarebbe la differenza tra un immagine che minimizza la violenza sulle donne e un mondo che fa lo stesso? Quale sarebbe la differenza tra la sottomissione rappresentata e la guerra che ogni giorno viviamo sui nostri corpi? Come si differenzia la campagna pubblicitaria da un sistema economico e culturale che ancora non tiene conto delle discriminazioni di genere, anzi le perpetra sistematicamente, e quindi da un ammasso di inutile pubblicità complice?La memorabilità…la memoria. Si c’entra, la memoria. Perchè il linguaggio che parla la pubblicità è un linguaggio politico e di potere. E il potere si regola proprio così, attraverso la contaminazione per ripetuti atti della memoria, dell’imprinting di tutt*. Non sarebbe il caso affrontare il compito con un minimo di responsabilità? Noi la nostra responsabilità, verso noi stesse, verso le altre donne e verso la società tutta, ce la mettiamo. E non intendiamo tacere.

>> (…)Non c’è stato alcun intento di strumentalizzazione, considerando che la campagna è stata programmata e
scattata i primi giorni dello scorso mese di dicembre, momento in cui niente faceva presagire a
questa ondata di violenza sulle donne.

La violenza sulle donne non è un’ondata. La prima causa di morte per le donne dai 14 ai 45 anni nel mondo è la violenza maschile. E nemmeno la violenza dello stato e dei corpi polizieschi e militari è un’ondata. La violenza sulle donne si esprime anche nella diffusione di modelli a-culturali, come nel caso della campagna pubblicitaria Relish.

>>Ci dispiace se la campagna può aver generato reazioni contrarie e di questo non possiamo che scusarci

Chiediamo il ritiro della campagna pubblicitaria e l’assunzione di responsabilità pubblica da parte del sistema pubblicitario.

>>Tuttavia” continua Esposito “appare abbastanza evidente che le immagini hanno un notevole contenuto di ironia. L’espressione della donna non è allarmata o terrorizzata, come sarebbe invece se la situazione rappresentata fosse effettivamente drammatica. Anzi è addirittura leggermente beffarda e maliziosa, per cui appare evidente che tutta la situazione è un’iperbole, ben lontana dall’essere vera”.

E’ proprio così che agisce la "normalizzazione". Non c’è nulla di ironico, l’ironia ha molti significati, basta una rapida ricerca su wikipedia, tutt* possono saperlo con un clic ormai. Nessuno corrisponde all’intento mostrato nella foto. Comicità? Nessun* ride a gurdare quel manifesto, non è comico. Forse il Signor Esposito ha uno strano concetto di ironia e forse farebbe bene a correre nel primo gruppo di autocoscienza che trova (ce ne fossero!) e farsi due domande, parlarne con qualcun*.

PS: Da notare che la chiusura del comunicato smentisce le sarcastiche scuse precedenti.

L’incubo della cultura sessista si avvera: abbiamo un…

Manifesto per il diritto alla critica di genere e per una responsabilizzazione del mondo della cultura

(da Femminismoasud)

1.] Noi non siamo spettatrici passive della cultura; abbiamo il diritto di esprimere una critica di genere; il mondo della cultura dovrà accoglierla senza confondere la critica di genere con la santa inquisizione.

2.] Noi non amiamo la censura, non siamo dame di carità, siamo scrittrici, giornaliste, creative, fotografe, registe, attrici, pittrici, artiste, autrici, lettrici, fruitrici, il cui parere è sempre stato trattato e connotato come di parte, non obiettivo, pregiudizievole. Gli uomini che fanno cultura non hanno l’esclusiva della "obiettività".

3.] Noi siamo consapevoli di quanto sia fondamentale il ruolo di chi fa cultura nel nostro paese e ci assumiamo la responsabilità di osservare attivamente quanto viene prodotto per presidiare un contesto altrimenti svuotato di contenuto e significato e orientato solo dalla domanda del mercato.

4.] Noi produrremo cultura con la consapevolezza che essa potrà veramente cambiare punti di vista e migliorare le regole del nostro vivere civile.

5.] Noi non dichiariamo la resa ad un mondo (quello culturale) dominato dall’interesse dei marchi di produzione e distribuzione. Noi non ci accontentiamo di essere semplici operaie di una industria (quella della cultura) che è diretta da un unico principio fondante: quello economico.

6.] Noi siamo consapevoli del fatto che la cultura ha sacrificato quasi tutte le sue potenzialità al potere politico. La cultura viene usata per veicolare messaggi utili al progetto politico che attualmente vediamo in atto. Anzi, la cultura è stata diretta, sostituita quasi totalmente con il programma politico dei poteri forti che dominano la nostra nazione.

7.] La cultura ha abdicato al suo ruolo fondamentale e noi non abdicheremo alla responsabilità di insistere affinchè si costruisca una alternativa culturale all’abominio, allo stupro, alla violenza contro le donne, contro le persone più deboli.

8.] Il nostro punto di vista è differente. La nostra visione lucida e radicale. Il nostro posizionamento è "di genere". La nostra critica è "complessa". Non può essere liquidata con superficialità.

9.] Chiediamo ai creativi/e, produttori/trici, distributori/trici del mondo della cultura di essere maggiormente sensibili alle tematiche di genere.

10.] Chiediamo un impegno, non una presa d’atto, ma una riflessione responsabile che induca alla difesa di valori che riteniamo dovrebbero essere patrimonio collettivo e non solo delle donne.

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