Egregia Ministra Carfagna,
abbiamo letto con attenzione la Sua "lettera al
direttore" di Repubblica nella quale descriveva le Sue considerazioni
sulla questione della violenza alle donne.
Di queste considerazioni non condividiamo quasi
nulla. Il contenuto della lettera ci ha invece indotto a scriverLe per
introdurLa ad una differente lettura dei dati statistici sulle violenze contro
le donne che certamente Le sono noti.
Una lettura che trova d’accordo le 150 mila donne,
femministe e lesbiche che hanno partecipato al corteo contro la violenza
maschile dello scorso 24 novembre .
La causa delle violenze degli uomini non risiede
nella presunta fragilità delle donne e di sicuro non va ricercata nel minore
interesse a realizzare "la famiglia, quale cellula primaria della società
italiana".
Noi sappiamo che la famiglia è effettivamente il
luogo all’interno del quale si realizzano le più atroci violenze.
Sembra invece più credibile quanto Lei afferma
circa il fatto che la famiglia, in quanto "ammortizzatore sociale"
necessiterebbe di tutela. E’ infatti noto che il welfare italiano chiede alla
famiglia di supplire alle carenze di uno Stato che non provvede alla
risoluzione della precarietà di tante persone non in grado emanciparsi dal
bisogno ed essere autosufficienti.
Il fatto che la famiglia sia eletta ufficialmente
al ruolo di "ammortizzatore sociale" ci rende molto chiaro quale sia
il ruolo che viene attribuito alle donne in un contesto che richiede surrogati
di servizi, figure palliative obbligate ad assolvere ai ruoli di cura che
altrimenti nessuno svolgerebbe.
Sappiamo che le scelte economiche del nostro
paese in relazione al "lavoro" hanno come immediata conseguenza
quella di riportare a casa le donne obbligandole ad una dipendenza che di
sicuro non le aiuta a sottrarsi da situazioni di violenza. Invece crediamo che
la famiglia, qualunque essa sia e da chiunque sia composta, debba essere una
"scelta" e non un obbligo. Di sicuro non riteniamo che la famiglia
sia "un luogo di realizzazione".
Lei non può negare che la famiglia sia il luogo
per eccellenza, a parte poche eccezioni, in cui le donne subiscono violenze.
Ciò è possibile per una distorsione di quella stessa cultura della quale Lei si
fa portatrice.
Promuovere una politica familista all’interno
della quale è ammesso un unico modello di sessualità – secondo quanto da
millenni qui in Occidente la
Chiesa cattolica impone, e altrove analogamente fanno altre
religioni – è il modo migliore per legittimare una mentalità
discriminatoria e sessista di per se’ veicolo di violenza.
E’ poi estremamente pericoloso che Lei assegni
alle separazioni, ai divorzi e all’affidamento dei figli e delle figlie la
causa delle tensioni che determinano gravissime tragedie all’interno dei nuclei
familiari.
Una simile considerazione non tiene conto dei
dati storici che dimostrano proprio che la maggior parte delle violenze da ex
coniugi avviene in occasione degli incontri tra padre e madre per lo scambio
del figlio. Stiamo parlando di quei tanti casi in cui l’affido condiviso è
stato concesso nonostante la presenza di denunce per violenze e maltrattamenti
nei confronti del coniuge e si permette così all’ex di avere la opportunità di
continuare a fare del male a moglie e figlio.
Lei evidentemente non sa che se è vero che
l’umore degli uomini violenti si appesantisce in presenza di fattori di stress
è anche vero che questi non derivano di sicuro soltanto dalle separazioni e
dagli affidi di figli e figlie. Ha Lei forse intenzione di semplificare la vita
di queste persone in ogni aspetto?
Gli uomini non picchiano perché fremono dal
desiderio di vedersi affidato il figlio dopo una separazione. Saprà certamente
che il padre troppo spesso non versa gli alimenti ne’ adempie al proprio ruolo
di genitore nonostante vi sia ampia disponibilità da parte delle madri.
Capita anzi che i bambini e le bambine vengano
uccisi assieme alle loro mamme proprio da quei padri che intendono l’intera
famiglia quale proprietà. Ed è questo l’aspetto fondamentale sul quale la
cultura non interviene: il possesso.
Non sono passati molti anni da quando è stata
eliminata la figura del capofamiglia. Non è trascorso molto tempo neppure dal
momento in cui il padre è stato privato dello ius corrigendi, il diritto di
correzione di ogni membro della famiglia.
E’ di quella modalità che stiamo parlando, prima
legalizzata e ora culturalmente legittimata.
Bisogna intervenire sulla cultura. Bisogna
impedire che vi sia una attribuzione di ruoli alle donne che devono poter
autodeterminare le proprie esistenze. Ed è a questo punto che siamo obbligate a
ricordarLe che è Lei per prima a dare un messaggio distorto sul ruolo e le
funzioni delle donne.
Siamo certe che è in grado di capire che
sostenere la Sua
posizione contraria all’interruzione di gravidanza equivale a dire che le donne
non possiedono il proprio corpo e non hanno il diritto di autodeterminarsi.
Delegittimare le donne nelle proprie scelte rafforza quella visione che le
immagina bisognose di tutori che decidano per loro quasi non fossero in grado
di intendere e volere.
Il messaggio che Lei trasmette è che le uniche
donne che non meritano di essere picchiate o, peggio, uccise, sono quelle che
si dedicano alla famiglia come luogo primario di realizzazione e che accettano
supinamente di fare dei figli. Secondo questi parametri è facile che gli uomini
si sentano in diritto di dover esercitare su di noi una sorta di controllo sociale,
come fossero aguzzini che ci tengono a bada mentre adempiamo ai nostri ruoli, o
che si sentano autorizzati a dover reintrodurre il loro sistema di correzione
per insegnarci ad essere ben educate, protese alla cura delle esigenze
familiari e mai in contraddizione con i ruoli che proprio questa cultura
patriarcale ci assegna.
Bisogna anche intervenire praticamente, siamo
d’accordo, ma non nel modo che intende Lei. Di sicuro non ci sembra un gran segno
di "concretezza" il fatto che il governo tagli il fondo di 20 milioni
di euro per la prevenzione e il sostegno alle vittime della violenza sessuale.
Anzi questo ci dimostra che avevamo ragione: il governo usa i nostri corpi per
legittimare la propria politica razzista e poi ci sottrae fondi indispensabili
per attuare una politica contro la violenza.
Ecco invece quanto noi intendiamo per
"concretezza:
– E’ necessario puntare su una politica che rafforzi le possibilità di
autodeterminazione delle donne. Non serve un sistema di leggi che rafforzino il
modello securitario. Dentro le nostre case serve che noi siamo in grado di
difenderci, di individuare i pericoli per prevenirli, di avere luoghi ai quali
poter fare riferimento per andare via prima che si possano verificare mille
tragedie, di avere diritto ad una abitazione e ad un lavoro che ci permettano
di vivere autonomamente senza dover restare piegate alla dipendenza economica
dai mariti.
– Abbiamo bisogno che i centri antiviolenza non dipendano dagli umori degli
amministratori locali ma che vengano stanziati fondi nazionali che ne
garantiscano l’operatività.
– Abbiamo bisogno di interventi strutturali
che stabiliscano delle priorità difficili, certamente non plateali come
l’adozione di eserciti o centinaia di poliziotti che in ogni caso non saranno
mai in grado ne avranno mai il diritto di pattugliare le nostre case.
– Abbiamo bisogno che i genitori non siano
prescrittivi nei confronti delle preferenze sessuali delle proprie figlie e dei
propri figli. Non ci deve essere nessun genitore autorizzato ad accoltellare
una figlia perché è lesbica.
Il suo obiettivo come Ministro per le Pari
Opportunità è garantire che le opportunità siano veramente "pari" per
tutte le donne.
Le azioni del Ministero delle Pari Opportunità
devono essere improntate a riconoscere e promuovere le nostre reali necessità.
Sia garante della concreta promozione dei diritti
umani delle donne, primo tra tutti il diritto ad una vita libera dalla
violenza, il diritto alla scelta su cosa fare della nostra vita e dei nostri
corpi, così come voluto dalle principali convenzioni internazionali.
Cordiali saluti
Rete Nazionale Femminista e Lesbica