GENOVA NON E’ FINITA!

ripubblichiamo da http://www.10×100.it/

GENOVA NON È FINITA.
DIECI, NESSUNO, TRECENTOMILA…

APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE E AL MONDO DELLA CULTURA

La gestione dell’ordine pubblico nei giorni del G8 genovese del luglio del 2001, rappresenta una ferita ancora oggi aperta nella storia recente della repubblica italiana.

Dieci anni dopo l’omicidio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” avvenuta nella scuola Diaz, le torture nella caserma di Bolzaneto e dalle violenze e dai pestaggi nelle strade genovesi, non solo non sono stati individuati i responsabili, ma chi gestì l’ordine pubblico a Genova ha condotto una brillante carriera, come Gianni De Gennaro, da poco nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Mentre lo Stato assolve se stesso da quella che Amnesty International ha definito “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”,  il prossimo 13 luglio dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, “devastazione e saccheggio”, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco.

Un reato concepito nel chiaro intento, tutto politico, di perseguire chi si opponeva al regime fascista. Oggi viene utilizzato ipotizzando una “compartecipazione psichica”, anche quando non sussiste associazione vera e propria tra le persone imputate. In  questo modo si lascia alla completa discrezionalità politica degli inquirenti e dei giudici il compito di decidere se applicarlo o meno.

E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001.

Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate.

Per una battaglia che riguarda la libertà di tutte e tutti.

firma qui: http://www.10×100.it/?p=16#more-16

 

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Pride 2012: Volta Rivolta e Torna a Rivoltar

La mia terra scossa, la palude torna in superficie. E io canto agli scarriolanti larilalà, e al loro lavoro.

Come allora, ripartiamo, con le nostre mani e i nostri corpi diamo nuova forma a quelle zolle, a quei mattoni.

Io seguirò questo striscione perchè, come la terra, anche io sono in sommovimento. La mia identità di genere si copre e scopre, cambia, non si ferma: io sono queer.

Sono queer e quel genere di palude, l’eterosessismo che mi vuol affogare, che non lascia respirare, carriola dopo carriola, lo porto via. Con l’attivismo, personale e politico, io sovverto.

La Rivolta sarà queer o non sarà.

Figliefemmine

(che lontane e vicine…si ritrovano sempre)

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Da alcune cane sciolte…Safety, autogestione e resistenza: una comunicazione femminista sul 15 ottobre

Siamo femministe e antifasciste, il desiderio d’esprimerci sull’esperienza del 15 ottobre parte da una serie di sommovimenti interni ai nostri corpi, più che da un’esigenza di far parte della tempesta di “comunicati”. Un comunicato è un participio passato, noi speriamo di metterci in comunicazione.

Il crampo allo stomaco nasce dal fatto che pur essendo in testa al corteo, non abbiamo capito cosa stesse succedendo davvero, dove e come. Non c’è stata una pronta comunicazione, non c’è stato nessun segno, nessuna voce che sapesse informarci del nostro stesso posizionamento. Questo ci porta a chiedere di “ripensare” strutture che già in passato, nelle nostre azioni, avevamo messo in discussione. Cosa è una “testa” del corteo? Cosa è uno”spezzone”? Quale è la differenza tra creare “safety” invece che richiedere ordine e sicurezza? Soprattutto come si organizza un corteo? Chi decide? La “decisione” come prende forma? Come accade che vi siano “scazzi” tra gli stessi organizzatori del corteo rispetto alle azioni e alla modalità di gestione? E soprattutto, dati gli “scazzi”, come si dovrebbe procedere se si sceglie di esserci e di esprimersi in un corteo i cui contenuti “contano” ?

Quello che crediamo è che la forma e i nostri corpi contino quanto i contenuti.

Crediamo che la forma idonea a combattere quell’ordine patriarcale che vogliamo lasciarci alle spalle sia l’orizzontalità. L’orizzontalità è qualcosa che si pratica, si sperimenta, nel modo in cui ci si mette in relazione personalmente, all’interno di un collettivo e nella creazione di alleanze e reti. Gli scazzi e l’arbitrarietà da “accordi del giorno prima” sulle pratiche di garanzia della “safety” non funzionano come “pillola del giorno dopo”. Riteniamo che la condivisione sia un passo imprescindibile per ogni grande manifestazione. Per condivisione ci riferiamo anche alla comunicazione degli “scazzi” stessi, che, evidentemente non c’è stata a livello nazionale, ma si è autocensurata internamente a geografie autoreferenziali, se non…quasi-elitiste di gestione dello spazio pubblico. L’esperienza della manifestazione contro la violenza maschile sulle donne del 2007, le nostre esperienze indecorose e libere, hanno portato i nostri corpi in relazione, attraverso settimanali assemblee locali e mensili assemblee nazionali a Roma. L’esperienza della Val di Susa ci insegna che la trasparenza degli intenti porta alla rivolta legittima e unita: i media hanno provato a dividerci in buon* e cattiv*, ma non ha funzionato perché l’unità delle differenze non è stata messa in discussione dal movimento stesso: c’era un percorso, e ci sarà. Portiamo una felpa nera quando vogliamo, a volte indossiamo il pink.

La non-violenza non è tra I nostri valori, come donne che lottano contro la violenza patriarcale, degli uomini e dello stato. Il “riot” è una pratica che condividiamo, ma rimandiamo alla capacità di autogestione come coscienza della responsabilità e dell’intenzionalità dei nostri riots.

L’autogestione è una dialettica tra l'”io” e il “noi”: il personale è politico ci guida ancora nella riflessione. L’autogestione è pratica orizzontale che non esula dallo “spontaneismo”. Quello che richiede è la capacità preventiva di “immaginazione” degli eventi e “creatività” rispetto all’orizzonte delle azioni, resistenze, modalità di autodifesa e gestione della “safety” possibili.

Crediamo che sia necessaria una riflessione sulla gestione della Piazza. Perché la scelta, il “sentirsela” o “non sentirsela”, ha finito per essere “costretta” e “imposta” dal contesto? Legittim@ chi attacca la violenza dello stato, legittim@ chi decide di non farsi “normare” dal contrattacco come pratica di guerriglia urbana, non precedentemente concordata o “immaginata” e poco “aperta” all’idea di “safety” delle/gli “altr@”, che diventano “altr@” perché il contesto, non scelto da loro, lo impone.

La data del 15 ottobre costringe il movimento tutto a riportare l’attenzione sulle questioni dell’orizzontalità, della safety, dell’autogestione. Ma non ci stiamo a “partire da capo”. Veniamo da esperienze di orizzontalità e anche da esperienze di scontri. Serve una consapevolezza dell’autogestione come responsabilità politica, come accordo. Un accordo è un’armonia, non una dissonanza. Non si possono ignorare le critiche interne ed esterne, limitandosi a mantenere rigide posizioni minoritarie di “rivendicazione”. Ma non possiamo nemmeno ragionare sentendoci ostaggio della distorsione dei media e tanto meno dell’approccio individualista da “sfogo emotivo da faccialibro”. In Piazza, a resistere, eravamo in tant@. La favolosità della resistenza, il numero (migliaia) di compagn@ in Piazza, e l’ “indignazione” contro la polizia è un prodotto di decine di anni di accumulazione di rabbia contro l’uso di armi illegittime, contro anni di torture e repressione assassina. La stessa che i giornali, e certe proposte stile ’75, propagandano come luogo sicuro, a cui “serenamente” consegnare donne e uomini di quella Piazza. La delazione non ha bisogno di commenti, fa il gioco del regime.

A differenza delle azioni che hanno messo in pericolo i nostri corpi durante il corteo, con una pratica alla “appicco il fuoco e mi barrico dietro la gonna di mamma/folla”, nello scontro con la polizia in Piazza S.Giovanni, nella resistenza alle cariche indiscriminate, si è espressa la politicità della rabbia, il diritto all’autodifesa.

Non sono i colori a normarci, non sono i compagni maschi, non è la nostra uterina irrazionalità, che pare ancora tabù, visto lo shock massmediatico alla visione di “donne black block”. Le quali, Repubblica aggiunge, quasi a tranquilizzarci, dopo aver lanciato un sanpietrino corrono a baciare i fidanzati (stessa “azione” che le “buone manifestanti” avrebbero voluto fare in piazza, stando a ciò che la stampa racconta: un bel bacio eterosessuale a coppie, per un po’ di pepe, e per rassicurare l’ordine patriarcale e la struttura famigliare). Chiediamo a chi ci legge di uscire da queste dinamiche stigmatizzanti.

Il feticismo da “black bra” lo lasciamo a Repubblica, chiediamo invece attenzione alle rivendicazioni di donne, precarie, femministe e lesbiche che in quel corteo c’erano e che continueranno a parlare per sé.

CANE SCIOLTE

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Riflessioni femministe sul 15 Ottobre – da Radio Onda Rossa

Riflessioni femministe sul 15 Ottobre

http://www.archive.org/download/111017mflaparladel15ott/111017mflaparladel15ott….

Racconti e riflessioni a più voci sulla giornata del 15 Ottobre. Violenza non violenza, autodifesa, solidarietà, delazioni, ragazze cattive, buone manifestanti…e molto altro..

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Appello per uno spezzone putatransfemministaqueer nella manifestazione del 15 ottobre

“Veniamo dal femminismo radicale, siamo le lesbiche, le prostitute, l* trans, le immigrate, le sfortunate, le eterodissidenti… siamo la rabbia della rivoluzione femminista e vogliamo mostrare i denti: uscire dagli uffici del “genere” e delle politiche corrette e che il nostro desiderio ci guidi, sempre politicamente scorrette, sempre disturbando, ripensando e risignificando le nostre mutazioni.
Ormai non vale niente essere solo donne. Il soggetto politico femminista “donne” ci è ormai troppo stretto, ed è escludente in se stesso – lascia fuori le lesbiche, l* trans, le prostitute, quelle col velo, quelle che guadagnano poco e non vanno all’università, quelle che gridano, le clandestine, le frocie…”*

dal Manifesto Putatransfemministaqueer

Siamo stanche di sessere carine e comprensive, di stare a casa, di fare lavori di merda, di chiedere il permesso, di sorridere, di avere stile, di farci toccare il culo…

Per troppi anni abbiamo chiesto un cambiamento sociale e istituzionale, l’uguaglianza e i diritti civili come donne e come lesbiche, gay, trans. Ci hanno risposto che i tempi non erano maturi, che sua santità non era pront*, oppure che qualche concessione poteva essere fatta, per le italiane, purché ci prestassimo al gioco delle retoriche e delle politiche nazionaliste, razziste, securitarie, normalizzanti. Purché ci prestassimo a dire che il pericolo per le donne e per le frocie sono gli immigrati. Purché dimostrassimo di essere donne e omosessuali per bene.

Di fronte all’esplodere sulla scena pubblica di scandali sessuali che hanno reso evidente la contraddizione di genere, ci siamo dette: se non ora, quando? Ma non era ancora il momento per poter rigettare in blocco il capitalismo pedo-pornografico-farmacologico che produce e regola questo regime di sessualità.

Oggi, di fronte alla crisi che investe, oltre alle nostre vite, la sovranità statuale, la rappresentanza, le forme della politica, è venuto il momento di agire pratiche comuni a partire dalla complessità e dalla molteplicità delle nostre collocazioni e situazioni, e di convergere verso le lotte precarie per il reddito e per il diritto all’insolvenza.

E’ venuto il momento di portare dentro di esse la critica all’eterosessualità obbligatoria e alla violenza maschile, la ricerca di immaginari postpornografici e di pratiche contrasessuali, per produrre localmente momenti in cui saltino simultaneamente tutte le stratificazioni del biopotere e del potere. Il neoliberismo è intrecciato al biopotere e i nostri corpi, le nostre storie, e le convergenze e alleanze che costruiamo, sono le pratiche che possono sovvertirlo.

A partire dalla giornata di mobilitazione internazionale del 15 ottobre, che vedrà in piazza contro la crisi e la precarietà student*, lavorat*, immigrat*, scenderemo in lotta per le nostre condizioni di vita materiali.

Il soggetto precar* non è una figura astratta della produzione postfordista: è un corpo parlante che comincia a esigere il suo “habeas corpus”.
Sappiamo di cosa parliamo quando nominiamo la ricattabilità politica, sociale e sessuale sul luogo di lavoro; conosciamo bene lo sfruttamento del corpo, dell’affettività, della capacità di relazione 24 ore su 24. Lo sappiamo come donne, gay, lesbiche, trans, queer, da sempre, da molto prima che diventasse una condizione generalizzata.

Il 15 non è che un passaggio: costruiremo uno spezzone che dia visibilità alla presenza inter-trans/lesbo/femminista/queer, in cui ci sia spazio per le pratiche anche diverse che ci caratterizzano.
Vogliamo uno sciopero precario in cui bloccare, assieme ai flussi materiali e immateriali della produzione, anche i flussi di desiderio sostenuti dal capitale, per fare irrompere uno spazio pubblico di riappropriazione dei corpi e dei piaceri, di relazioni e affettività altre.

“Siamo una realtà, operiamo un diverse città e contesti, siamo conness*, stiamo generando alleanze e strutture proprie: non ci farete tacere mai più.”*

Appuntamento sabato 15 alle 13.30 in Piazza Esedra- Roma- Per adesioni, prenotazione bus o comunicare altri spezzoni queer: smaschieramenti@inventati.org
Partenze pullman da Bologna: appuntamento ore 5.30 in autostazione, partenza ore 6.00!

antagonismogay/Laboratorio Smaschieramenti
Frangette estreme
Fuoricampo Lesbian Group
MIT Movimento Identità Transessuali
Sexyshock
Circolo PINK Verona

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